Quest’opera si ispira a Timore e tremore di Søren Kierkegaard, in cui il filosofo afferma che la fede non nasce dalla certezza, ma dalla capacità di sostare nella paura, nel dubbio e nell’incomprensibile.
Abramo, ricordato come il padre della fede, è immerso nel «brivido del pensiero»; la sua disponibilità a violare i principi etici (cioè l’uccisione del proprio figlio) è giustificata dalla fede, poiché né il suo gesto né il comando di Dio possono essere compresi attraverso la morale, ma solo attraverso la fede.
Scritto sotto lo pseudonimo di Johannes de Silentio, il testo si apre con quattro rivisitazioni poetiche, o intonazioni, che rivelano ciascuna una diversa sfaccettatura della vita interiore di Abramo.
Nella prima, Abramo non nasconde a Isacco il proprio intento. Sebbene dolce e paterno, il padre resta incomprensibile agli occhi del figlio, che si aggrappa alle sue ginocchia.
Sul Monte Moria, il volto di Abramo si trasfigura, diventando quello di un carnefice selvaggio e folle. Nell’angoscia, Isacco grida a Dio:
«Se non ho padre sulla terra, allora sii Tu mio padre!»
Sottovoce, Abramo mormora:
«Signore del cielo, Ti ringrazio; è meglio che lui creda che io sia un mostro, piuttosto che perda la fede in Te» — rappresentato qui con Abramo che indossa letteralmente una maschera, mostrando sia l’espressione esteriore che la lotta psicologica interiore.
Raramente si riconosce la profonda e isolante lotta spirituale necessaria per mantenere la fede: la stessa lotta che affrontò Abramo — un conflitto interiore accompagnato da timore e tremore, in risonanza con Filippesi 2:12.
Per Kierkegaard, questo evento dimostra la sospensione teleologica dell’etico, ovvero l’intervento di una legge superiore — una legge che supera i legami personali e la ragione umana.
In questa tensione — tra amore, obbedienza e incomprensibile — l’artista ha cercato di rendere visibile la profondità silenziosa e tremante della fede.
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